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..::  Padre Daniele Badiali  ::..

  martire della carità  

  Acorma Perù 1997  

  Servo di Dio 

 

Daniele Badiali nasce a Faenza il 3 marzo 1962 da mamma Giuseppina e papà Luigi. La sua è una numerosa famiglia di agricoltori, che abita nella campagna faentina, la parrocchia è quella di Ronco.
Il giovane Daniele dopo le scuole medie ha frequentato l'Istituto Professionale per l'Agricoltura di Faenza. Cambia il parroco a Ronco, nel 1974: arriva don Antonio Samorì. Questi affronta la crisi adolescenziale dei ragazzi più grandi della parrocchia, tra cui Daniele ed il cugino Gabriele, formando un piccolo gruppo che porta a conoscere varie esperienze di volontariato e per i quali organizza durante l'estate campi estivi in località dell'Appennino romagnolo.
Daniele così racconta quel periodo:

"Io ero un ragazzo che fino a dodici, tredici anni viveva tranquillamente in parrocchia qui a Ronco, vivevo con altri ragazzi, però vivevo una vita normale, tranquilla. Un bel giorno ho incontrato alcuni ragazzi che lavoravano per i più poveri. Mi hanno fatto conoscere delle realtà che io non avevo mai immaginato fino ad ora. Non pensavo che al mondo ci potesse essere gente che moriva di fame, io che non ero mai stato abituato a soffrire della mancanza di niente, i miei genitori mi avevano sempre dato tutto perché mi volevano bene. Questi ragazzi mi hanno fatto vedere che c'era gente che stava male e allora ho incominciato a chiedermi: che cosa sono io? Perché io devo stare bene e tanti altri stanno male? Ho incominciato a farmi domande serie, sul perché io stavo bene e altri stavano male, ecco allora come nascono le cose, da ciò che capita attorno a noi."

Durante l'estate del 1977, don Antonio accompagna il suo gruppetto di ragazzi a conoscere un'esperienza di campo di lavoro per le missioni dell'Operazione Mato Grosso.

Cristina, compagna dei primi anni, racconta così: "Stavamo facendo un campo di lavoro dell'Operazione Mato Grosso, il primo organizzato a Faenza, raccoglievamo le pesche da alcuni contadini. Una sera si affacciò un gruppetto di ragazzi con un giovane prete, fra questi c'erano Gabriele e suo cugino Daniele, quest'ultimo era forse il più giovane, 15 anni, i pantaloni corti e la faccia rotonda, pulita, da bambino".

Giorgio ricorda: "La vita essenziale che facevamo, semplice, il lavoro duro per i poveri, 9 - 10 ore al giorno, colpì Daniele, che s'innamorò subito di questo cammino, dell'imparare a dare via, facendo fatica. Anche lui, figlio di contadini, era un buon lavoratore, non si tirava mai indietro. Generoso, sempre il primo a sacrificarsi nei lavori più umili, come lavare i piatti. Era poi un buon musicista, suonava benissimo la chitarra, era sempre vicino a me. La musica e il canto non mancavano mai alle nostre riunioni. Pronto a suonare qualsiasi canzone, anche quando non sapeva gli accordi, era subito veloce a trovarli."

Quasi tutti studenti, ciò che legava era l'entusiasmo di lavorare per gli altri e la scoperta che il farlo rendeva contenti.

Ci si doveva fidare, per non sbagliare direzione, di qualcuno più grande, che avesse a cuore il nostro futuro e la nostra vocazione. Questo ci fu più chiaro guardando la vita di Giorgio Nonni, dietro a lui per tanti di noi è nata la voglia di andare in missione, di seguire il p. Ugo e prendere sul serio il cammino della carità.

Nel 1984 Daniele parte per un'esperienza di due anni: va Chacas in Perù, dove sono presenti sia Giorgio Nonni, non ancora sacerdote, che p. Ugo De Censi. L'intento è quello di lasciarsi guidare da p. Ugo per verificare la sua vocazione.

Vive nella casa parrocchiale, buttandosi subito nei lavori per poter togliere qualche peso agli altri volontari presenti e scopre i poveri attraverso le tante persone che bussano continuamente alla porta, chiedendo aiuto. Fa anche l'assistente dei ragazzi della scuola d' internato di falegnameria Taller "Don Bosco".

Daniele, in questi primi due anni, impara a poco a poco ad essere "figlio" di p. Ugo. Questa obbedienza gli costa sofferenza, perché richiede umiltà, saper riconoscere gli sbagli, i difetti ed accettare le correzioni, ma capisce che è proprio l'umiltà la via che conduce alla verità e alla conversione della propria vita.

"Questa è una verità che voglio dire chiara anche a voi: non pensate di scoprire ciò che vi serve da soli, dovete lasciarvi aiutare da qualcun altro, qualcuno un poco più grande e voi dovete proprio essere buoni da dire: "dimmi tu che conosci un po' più di me la vita, qual è la cosa giusta che devo seguire? Aiutami!" (p. Daniele).

Dal 1986 al 1991 Daniele studia nel seminario di Bologna.

P. Daniele parte per il Perù, nell'agosto del 1991, come sacerdote "fidei donum" della diocesi di Faenza-Modigliana per la diocesi di Huari ed il 1° settembre fa l'ingresso nella sua parrocchia di San Luis.

La parrocchia è molto vasta, sulla Cordillera Blanca. La zona comprende nevai che superano i 6000 metri di altitudine. Sono più di 60 paesini sparsi, suddivisi e facenti parte di tre grossi centri: San Luis, capoluogo di provincia, Yauya e San Nicolas. Non ci sono strade, all'interno: si va solo a piedi o a cavallo. La situazione religiosa è disastrosa, la mancanza di un prete si avverte molto bene.
P. Daniele inizia a farsi carico dei pesi che un parroco deve portare: cerca di raggiungere tutte le comunità anche quelle più lontane.

Distribuisce il pasto. La casa parrocchiale è il punto di riferimento per le persone povere, bisognose di tutto e vari sono i ragazzi italiani, che negli anni si sono fermati nella casa con lui per periodi più o meno lunghi per aiutarlo.

Prepara quattrocento bambini alla prima Comunione, nel marzo del 1992, può così iniziare il lavoro dell'oratorio, insegnare la devozione e la carità, essere padre per tanti ragazzi, volendo loro bene, con il desiderio intenso di condurli a Gesù.
Viene ucciso da terroristi, nell'ottobre del 1992, il volontario dell'OMG Giulio Rocca, a Jangas. Daniele lo conosce bene e parla così della sua morte:

"Giulio è morto come un martire, non l'ha scelto lui, la situazione delle cose l'ha portato a morire con una morte violenta simile a quella dei martiri. Ora è chiaro anche per me il cammino dell'OMG, perdere la vita fino al martirio. Tutto ciò mi spaventa, ma nello stesso tempo provo una quiete dentro di me..."(p. Daniele)

Nel novembre del 1996 accoglie in casa Eloy, un bambino di nove anni che presenta difficoltà fisiche. Da questa prima accoglienza nasce il progetto della casa Danielitos, che servirà ad ospitare bambini disabili e verrà realizzata dopo la morte di Daniele.

Il 10 marzo 1997 inizia a San Luis, nella sua parrocchia, la preparazione alla Prima Comunione con 500 bambini. Trascorre tutto il giorno insieme a loro in chiesa, pregando e cantando, raccontando loro la vita di Gesù e giocando nei momenti di svago.La preparazione sarebbe durata due settimane fino al giovedì santo, giorno in cui ogni bambino avrebbe ricevuto Gesù nel proprio cuore. P. Daniele è molto preoccupato di trasmettere ai bambini il desiderio di un Padre buono, soffre nel non vederli attenti e devoti, teme per la loro anima e per la sua. Desidera lasciare ai suoi bambini un segno grande che li faccia innamorare di Gesù. Prega tanto la Madonna, quella dal lungo manto, dove ripararsi e trovare consolazione... Ha da poco scritto uno dei canti più belli: "Mami de Dios, mami perdon, ten compasion..."

P. Daniele aspetta il rientro di p. Ugo e p. Giorgio dall'Italia: da mesi sostiene un ruolo per il quale si sente incapace, vuole mettersi da parte.

"Mi ritrovo incapace di abbandonarmi, di lasciare a Dio condurre ogni cosa: anche se mi sembra di giocare tutto, mi ritrovo che ancora devo scommettere a favore di Dio. Essere servi inutili è davvero chiamare il padrone, lasciargli in mano ogni cosa, non voler condurre nulla. Essere servi di Gesù è davvero invocarlo con le sue stesse armi: la bontà, il perdono, l'abbandono, la pazienza, un sorriso... il morire"(p. Daniele)

Il 16 marzo, dopo aver celebrato la messa domenicale a San Luis e a Pomallucay, si reca a Yauya, per la celebrazione serale. Di ritorno, con altre sei persone a bordo della jeep, intorno alle 22, si trova improvvisamente la strada bloccata da pietre. Daniele intuisce immediatamente che si tratta di qualcosa di grave. Compare un bandito armato che cerca un italiano in ostaggio. Rosamaria scende. P. Daniele subito si fa avanti scostandola e dicendo:

"Vado io, tu rimani".

Ha già letto il biglietto consegnatogli dal bandito con la richiesta di riscatto che scade il 25 marzo, giorno del rientro di p. Ugo dall'Italia. P. Daniele viene allontanato, mentre il bandito minaccia con due spari tutti gli altri passeggeri e incita l'autista della jeep a ripartire.

Il corpo di Daniele viene ritrovato il giorno 18 marzo in località Acorma, luogo poco distante da San Luis, in una scarpata piena di pietre, avvolto in un telo di nylon azzurro, con le mani legate dietro la schiena, ucciso da un colpo di pistola alla nuca.
P. Daniele è vegliato tutta la notte ad Acorma, attorno alle pietre bagnate dal suo sangue, dalla popolazione e dai volontari dell'OMG. È accompagnato e vegliato in preghiera da San Luis a Chacas, fino a Lima.
Il 23 marzo la salma rientra in Italia e viene vegliata per tutta la notte e la mattina successiva. Il pomeriggio del lunedì 24 marzo avviene il rito funebre nella cattedrale di Faenza con la partecipazione di moltissima gente. La salma è tumulata presso il cimitero di Ronco di Faenza nella tomba di famiglia.

Padre Daniele Badiali  ora è Servo di Dio

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